Archivi categoria: Tecnologia

La Polizia Stato e l’IZPS firmano un accordo per la cybersecurity

La Polizia di Stato e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato hanno siglato un accordo per la prevenzione e il contrasto dei crimini informatici. In particolare, quelli che hanno per oggetto i sistemi e i servizi informativi rilevanti per il Paese, come le infrastrutture critiche di interesse nazionale.

La convenzione, firmata dal Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Franco Gabrielli, e dall’Amministratore Delegato dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Paolo Aielli, rientra nell’ambito delle direttive impartite dal Ministro dell’Interno per il potenziamento dell’attività di prevenzione alla criminalità informatica. Le direttive prevedono, tra l’altro, anche la stipula di accordi con operatori che forniscono prestazioni essenziali.

Garantire integrità e funzionalità delle reti informatiche delle strutture di livello strategico

Attraverso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) la Polizia Postale e delle Comunicazioni è quotidianamente impegnata a garantire l’integrità e la funzionalità della rete informatica delle strutture di livello strategico per il Paese. Il CNAIPIC, che da anni si occupa della tutela delle reti informatiche di realtà sia pubbliche sia private, di rilievo nazionale e di importanza strategica per il Paese, risulta quindi essere uno strumento necessario di collaborazione e di condivisione delle informazioni su tutto il territorio nazionale.

Tecnologie all’avanguardia per proteggere l’identità fisica e digitale dei cittadini

Dal canto suo, riporta una notizia Askanews, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato realizza e sviluppa sistemi per la sicurezza e per la garanzia della Fede Pubblica attraverso tecnologie all’avanguardia volte a garantire l’identità fisica e digitale dei cittadini. Poiché si avvale di sofisticati sistemi di anticontraffazione e tracciabilità il Poligrafico è una realtà tecnologica evoluta, e uno dei principali partner istituzionali operativi a supporto della Pubblica Amministrazione. Le istituzioni e le PA richiedono infatti livelli di sicurezza sempre più elevati, a garanzia dell’integrità dei sistemi informatici, tecnologici e delle reti telematiche.

La firma della convenzione

Alla firma della convenzione, si legge in un comunicato congiunto, erano presenti per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni, e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato, Armano Forgione e il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, Nunzia Ciardi.

Mentre per l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, erano presenti il Responsabile Direzione Sistemi di Prevenzione e Tutela aziendale, Marco Ferraro, e il Responsabile Affari Istituzionali e Comunicazione, Sabrina Romani.

 

L’app che riconosce i prodotti Made in Italy

Un’app che riconosce i prodotti autenticamente Made in Italy. Nata per contrastare il fenomeno dell’Italian Sounding, l’app Realia | Made in Italy Experience è gratuita e rappresenta un sistema efficace per la tutela dei prodotti originali del nostro Paese. L’app si rivolge soprattutto alle aziende italiane del settore agroalimentare e dei beni di consumo, che possono contare su uno strumento innovativo che permette ai consumatori di riconoscere l’autenticità dei prodotti acquistati rispetto alle imitazioni. In questo modo, i consumatori che vogliono acquistare all’estero un prodotto del nostro Paese non avranno più dubbi, né brutte sorprese, sulla sua autenticità.

Distinguere in modo sicuro i marchi storici e quelli di nicchia

Con l’app di Realia i consumatori potranno distinguere in modo sicuro e immediato sia i marchi italiani storici e noti in tutto il mondo sia i brand di nicchia, quelli prodotti da Piccole e medie imprese nazionali. Realia conta già oltre 100 mila utenti in Europa, e oltre un milione in Cina. Di facile utilizzo, l’app è disponibile su iOS e Android, ed è distribuita in tutto il mondo.

Ma come funziona? È sufficiente avere con sé lo smartphone e utilizzare l’app per inquadrare uno o più prodotti, anche simultaneamente, per avere la certezza della loro origine. Ogni prodotto infatti viene riconosciuto nella sua interezza sulla base di elementi come la confezione, il packaging o l’etichetta, oppure tramite codici barcode o Qr code.

Animazioni con la realtà aumentata

L’app, riporta Askanews, consente di visualizzare contenuti dinamici e video che certificano l’origine Made in Italy del prodotto, e ne illustrano le peculiarità con vere e proprie animazioni con la realtà aumentata.

Con Realia si può inoltre comunicare attivamente con le aziende e i loro brand, segnalando anche l’eventuale ritrovamento di prodotti di dubbia autenticità presso i punti vendita internazionali.

Il fenomeno dell’Italian Sounding

A causa dell’Italian Sounding spesso le aziende italiane hanno difficoltà a essere competitive nel mercato internazionale, e i consumatori stranieri spesso sono indotti ad acquistare prodotti falsi credendo che siano originali. L’Italian Sounding (letteralmente, “suonare italiano”) è un fenomeno legato all’imitazione di un prodotto, una denominazione o un marchio, attraverso un richiamo alla presunta italianità che però non trova alcun fondamento nel prodotto stesso. A differenza della contraffazione, che riguarda prevalentemente illeciti relativi alla violazione del marchio registrato, delle denominazioni di origine come Doc, Dop, Docg, Igp, Igt o Stgt, e del logo, del design, del copyright, l’Italian Sounding non è legalmente impugnabile e sanzionabile.

I social, la prima fonte di informazione per i giovani

La vita degli under 30 italiani si svolge in gran parte sulla rete, o comunque in compagnia di Internet. I numeri parlano chiaro: il 95% dei nostri connazionali al di sotto dei 30 anni di età utilizza quotidianamente il web e addirittura un 60% di loro è costantemente connesso. Queste cifre sono state rivelate dall’indagine sui giovani e l’informazione in Italia, realizzata dall’Istituto Demopolis per l’Ordine dei Giornalisti, in occasione del Premio Mario e Giuseppe Francese. Lo studio ha messo sotto esame le variabili che orientano la dieta informativa dei giovani italiani tra i 18 e i 29 anni, focalizzando gli strumenti impiegati nel vissuto quotidiano per l’informazione, il multi-tasking e le aree tematiche di maggiore interesse per le nuove generazioni.

Il mondo e le notizie sono sul web
”La centralità delle Rete incide in modo significativo sulle modalità di informazione delle nuove generazioni: il 75% entra in contatto con l’attualità attraverso siti web, portali e testate online. Considerato il contesto, i telegiornali, nazionali e locali e i programmi d’informazione in tv tengono le loro posizioni: li segue il 66% degli under 30. Sempre più centrale appare poi il ruolo di Facebook, YouTube e dei principali social network, vero e proprio incrocio di tutte le informazioni” ha detto il direttore di Demopolis, Pietro Vento.

Il trend degli ultimi 10 anni
Quanto accaduto negli ultimi dieci anni rappresenta un cambiamento epocale. Il trend 2009-2019 raccontato dall’Istituto Demopolis disegna un’autentica rivoluzione. La fruizione dei Tg e dei programmi d’informazione passa in 10 anni dal 76 al 66%, quella dei siti di informazione online dal 31 al 75%. Cresce di quasi 50 punti – dal 15 al 63% – l’utilizzo dei social quale strumento di informazione. Alla carta stampata rimane solo un ruolo marginale tra i ragazzi under 30. Sono pochi i giovani che acquistano quotidiani e giornali nelle edicole, anche se questi continuano ad essere letti e consultati, ma sul web e in tempo reale.

I media tradizionali sono comunque più affidabili

Ma cosa si è rotto nel rapporto fra ragazzi e informazione? A quasi i 2/3 degli intervistati non piace la faziosità dell’informazione politica, il 56% sottolinea la scarsa obiettività, il 48% la superficialità di molte notizie. I media tradizionali sono, comunque, percepiti dagli under 30 come più affidabili rispetto ai social network. In base all’analisi Demopolis per l’Ordine dei Giornalisti, a interessare di più chi ha meno di 30 anni sono per il 70% i fatti locali che avvengono nella propria città o regione. Ma anche, per i due terzi, l’informazione nazionale. Più bassa, poco sopra il 40%, l’attenzione su quanto accade in Europa e nel resto del mondo. Ma i millennials apprezzano il giornalista d’inchiesta. “Il 70 per cento dei giovani si dichiara interessato al giornalismo d’inchiesta e di denuncia. Le nuove generazioni lo vorrebbero più presente sui media italiani” ha confermato il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento.

Dove vanno in vacanza gli italiani? Le risposte nell’Osservatorio Astoi Confindustria Viaggi

Ci sono alcuni dati molto interessanti nell’Osservatorio sulle vacanze degli italiani nell’estate 2018 condotto da Astoi Confindustria Viaggi. Il primo, è che nell’era dell’on line cresce la tendenza degli italiani ad affidarsi a tour operator e agenzie di viaggio. Ancora, gli italiani, notoriamente ritardata, hanno scoperto i vantaggi della prenotazione anticipata. Per quanto riguarda le mete preferite, nel nostro Paese è boom per il Sud, mentre tornano ad avere appeal Mar Rosso e Tunisia. Tra le mete più lontane, le preferite sono Giappone, Thailandia, Stati Uniti.

Italiani sempre meno fai da te

‘’Osservatorio Astoi Confindustria Viaggi, l’Associazione che rappresenta oltre il 90% del mercato del tour operating italiano, segnala che sono in aumento gli italiani che preferiscono interfacciarsi con professionisti che forniscono consulenza in carne e ossa e si affidano così alla filiera agenzia di viaggi – tour operator. Il portafoglio prenotazioni dei tour operator Astoi evidenzia, infatti una crescita di circa il 13% rispetto allo scorso anno pari periodo, superiore al tasso di crescita del mercato. E se anni fa il cosiddetto “turista medio” aspettava i last minute senza esprimersi sulle mete, cercando solo di spendere il meno possibile, è da tempo che gli italiani hanno cambiato radicalmente atteggiamento: le formule di Advance Booking riscuotono sempre maggiore successo. Le persone non scendono a patti su dove vogliono andare e per aggiudicarsi le condizioni economiche più vantaggiose programmano con mesi di anticipo la partenza. La prenotazione anticipata, in incremento di circa il 18% rispetto allo scorso anno, arriva ad incidere fino al 75% sul totale dei volumi.

Comportamenti dell’estate 2018

Gli italiani vanno in agenzia per acquistare i loro viaggi e apprezzano sempre più i viaggi organizzati. Dai millennial che cercano mete balneari low cost e week end in Europa, a coloro che vogliono soggiornare in Italia. La durata preferita della vacanza estiva è di 10 giorni, qualunque sia la destinazione e la tipologia di vacanza prescelta: dal villaggio al residence, dalla crociera al tour. Per le destinazioni, l’Italia del Sud è la regina delle preferenze di chi sceglie di rimanere nel Belpaese: Sardegna, Puglia, Sicilia e Calabria sono le regioni più prenotate, e vedono anche una buona percentuale di repeaters. Nel medio raggio il dato numericamente più forte è legato al ritorno del Mar Rosso egiziano, con crescite oltre il 100% e anche della Tunisia. La Grecia piace sempre e ancora in Europa si registra un interesse in crescita verso l’Irlanda.

Sui viaggi intercontinentali si registra un  grande successo per il Giappone, e sempre in Oriente, Indonesia e Thailandia. Gli Stati Uniti, in particolare quelli del nord, tornano a piacere dopo la flessione dell’estate 2017, spesso abbinati a soggiorni mare nelle Antille. Ottimi risultati per Sudafrica, Namibia e Oceano Indiano.

La chat russa Telegram bloccata da Mosca: è terreno fertile per i cybercriminali

Telegram è al centro di uno scontro in Russia. L’app di messaggistica russa alternativa a WhatsApp ormai è diventata il nuovo terreno fertile degli hacker e i cybercriminali per commettere attività illegali. E dopo essere già stata rimossa dall’App Store per contenuti inappropriati il 31 gennaio di quest’anno, ora è stata bloccata dalle autorità di Mosca. Telegram infatti non concede al governo le chiavi della crittografia che danno accesso ai messaggi degli utenti.

A essere maggiormente utilizzati dai cybercriminali sono i gruppi di chat ospitati da Telegram, i cosiddetti canali. Lo sostiene la società di sicurezza Check Point Software Technologies, che ha condotto una ricerca sul “caso” Telegram.

La chat ospita canali clandestini che contengono offerte di lavoro illecite

Tra i canali clandestini di Telegram scoperti dal team di ricerca di Check Point Software Technologies ci sono quelli denominati Dark Jobs, Dark Work e Black Markets. Il primo può contenere offerte di lavoro illecite contrassegnate con un codice colore. Il nero, ad esempio, contrassegna le offerte di lavoro pericolose dal punto di vista legale, mentre il grigio o il bianco vengono utilizzati quando la pericolosità della “mansione” diminuisce, riferisce Ansa.

All’interno dei canali può inoltre verificarsi la vendita di strumenti di hacking e di documenti rubati, e perfino la possibilità di falsificarli.

“Una valida alternativa ai forum segreti presenti sul Dark Web”

Come viene spiegato nella ricerca, la chat di Telegram, a differenza di WhatsApp, “è caratterizzata da un livello di sicurezza più elevato, è più riservata e meno accessibile e questi elementi la rendono una valida alternativa ai forum segreti presenti nel Dark Web. Gli hacker riescono così a mantenere sulla piattaforma la propria identità completamente nascosta perché possono godere di chat pubbliche e private crittografate”.

La protezione dei dati personali e la segretezza paradossalmente facilitano le attività criminose

Se da una parte “C’è una richiesta di mercato per le tecnologie di protezione”, commenta Gabriele Faggioli, Responsabile Osservatorio Information Security & Politecnico di Milano e presidente del Clusit, l’Associazione italiana per la Sicurezza Informatica, dall’altra troppa protezione può attirare chi per motivi illeciti ha necessità di agire in segreto. Il paradosso quindi è che sia la protezione dei dati personali sia la segretezza facilitano le attività criminose.

La partita perciò “si giocherà sulle richieste da parte delle autorità investigative nell’avere il contenuto delle conversazioni”, continua Faggioli. All’app di Pavel Durov spetta ora il compito di risolvere il paradosso della “privacy”.

YouTube sotto accusa: viola la norma sulla privacy dei bambini

Le associazioni di consumatori Usa accusano YouTube di violare la privacy dei bambini. Secondo le associazioni la piattaforma di condivisione video consente la diffusione di pubblicità mirate proprio a loro. E questo nonostante YouTube affermi di rivolgersi a utenti dai 13 anni in su. Sempre secondo le associazioni di consumatori americane, Google inoltre ottiene profitti rilevanti dai messaggi promozionali dedicati ai più piccoli, messaggi che compaiono sul servizio di condivisione video, oltre a raccogliere informazioni personali sui minori senza il consenso dei genitori.

Attraverso YouTube Google raccoglie dati sui minori e li usa per indirizzare la pubblicità

Le 23 associazioni hanno perciò presentato un ricorso alla Federal Trade Commission (FTC), sostenendo che Google raccoglie informazioni personali sui minori attraverso YouTube, tra cui localizzazione, identificazione degli apparecchi, numeri di telefono mobile, e li usa per indirizzare la pubblicità ai minori su Internet, apparentemente senza il consenso dei genitori.

Gli inserzionisti pubblicitari pagano a Google un premio per inserire le loro pubblicità nelle sezioni “famiglia e bambini”

YouTube infatti è tra le piattaforme video più seguite dai bambini, e offre molti programmi progettati e promossi proprio per questo tipo di pubblico. La piattaforma, riferisce Askanews, diffonde appunto canali dedicati ai bambini, come ChuChu, TV Nursery Rhymes & Kids Songs, che contano milioni di sottoscrittori. E gli inserzionisti pubblicitari pagano a Google un premio per inserire le loro pubblicità nelle sezioni “famiglia e bambini”, compresi i canali indirizzati ai più piccoli.

“Un sito che pullula di cartoni animati, canzoncine e pubblicità di giochi”

 

“Per anni, Google ha abdicato alle sue responsabilità nei confronti di bambini e famiglie, sostenendo in malafede che YouTube, un sito che pullula di cartoni animati, canzoncine per bambini e pubblicità di giochi, non è per bambini sotto i 13 anni”, ha spiegato Josh Golin, dell’associazione Campaign for a Commercial-Free Childhood, una delle firmatarie del ricorso.

Google “ha agito in modo sleale, sostenendo falsamente nei suoi termini di servizio che YouTube è destinato solo a chi ha più di 13 anni e attirando deliberatamente i bambini in un parco giochi pieno di pubblicità”, aggiunge Jeff Chester del Center for Digital Democracy. Contattato da AFP, un portavoce di Google sostiene invece che “proteggere bambini a famiglie è sempre stata la nostra massima priorità. Dato che YouTube non è per bambini – continua il portavoce – abbiamo investito in misura significativa nella creazione della app YouTube Kids per offrire un’alternativa specificamente progettata per i bambini”