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Italiani preoccupati per l’inflazione: come si contrasta il caro vita?

Una delle principali preoccupazioni attuali degli italiani – già comunque “provati” dalla pandemia, dalla situazione internazionale e nazionale, dall’aumento delle materie prime – è l’inflazione, che sembra aver preso il galoppo. Complici le diverse situazioni ben note a tutti, resta il fatto che i nostri connazionali sono in tensione per quanto riguarda il loro presente e l’immediato futuro. Ovviamente, i timori riguardano l’aumento del costo di beni e servizi nei prossimi sei mesi, e il conseguente rischio di dover rivedere il proprio stile di vita. Insomma, la preoccupazione per l’inflazione in Italia nel 2022 è elevata, come rivelano gli ultimi sondaggi e osservatori di Ipsos.

I principali timori 

Ipsos evidenzia che, con riferimento alla propria situazione finanziaria, il 77% degli intervistati a livello globale manifesta  preoccupazione per l’aumento dei prezzi di beni e servizi nei prossimi sei mesi. Non solo: il 56% è preoccupato per la propria capacità di pagare bollette di luce gas, specialmente nei mercati emergenti. Tra le economie consolidate, in Gran Bretagna il 67% degli intervistati esprime preoccupazione. Il 54% è preoccupato di non riuscire più ad acquistare beni e servizi che compravano abitualmente. Le percentuali più alte si registrano in Turchia (80%), Sud Africa (73%) e Argentina (69%). Ma quali saranno i maggiori rincari, e in quali settori, secondo l’opinione pubblica? In media, a livello internazionale, il 76% dei rispondenti prevede un aumento del costo dei prodotti alimentari. Una percentuale simile (73%), invece, prevede un aumento del costo di luce e gas e il 71% del costo della benzina per gli autoveicoli. Le aspettative dell’opinione pubblica sull’aumento dei prezzi nel 2022 sono più elevate nelle categorie a maggiore impatto. Sei intervistati su dieci affermano che l’aumento dei prezzi relativo alla spesa alimentare avrebbe un impatto ancor più negativo sulla qualità della vita, seguiti dal 51% che considera l’impatto derivante dall’aumento del prezzo dei servizi pubblici e del carburante (42%).

Le azioni per contrastare gli aumenti

Le potenziali azioni dei consumatori per fronteggiare il peso dell’inflazione e l’aumento del costo della vita sono focalizzate sul taglio delle spese considerate superflue e non necessarie. Se l’aumento dei prezzi significasse non poter più permettersi l’abituale stile di vita, quasi la metà degli intervistati (46%) afferma di diminuire la spesa per attività di socializzazione (cinema, bar, abbonamenti ai media, etc…) e il 44% di ritardare importanti decisioni di acquisto (mobili, automobili, elettrodomestici, etc…). Meno probabili, invece, sono le azioni incentrate sul cambiamento dei comportamenti: tre su dieci affermano che, a fronte di costi crescenti, consumerebbero meno energia o utilizzerebbero di meno l’automobile per risparmiare carburante (entrambi il 29%) e un quarto cercherebbe di risparmiare sulla spesa alimentare (26%). Anche i cambiamenti nell’occupazione sono meno comuni. Tra i lavoratori dei 28 Paesi esaminati, in media, soltanto il 18% cercherebbe un’occupazione maggiormente retribuita presso un altro datore di lavoro e il 12% afferma che chiederebbe un aumento di stipendio.

Mercato dei mutui, è boom per i variabili con cap

Si registra un vero e proprio boom per i mutui variabili con cap, sempre più spesso preferiti dagli italiani che devono scegliere un finanziamento per l’acquisto della casa. A rilevarlo è una recente indagine condotta da Facile.it e Mutui.it, che evidenzia come l’aumento dei tassi di interesse stia cambiando sensibilmente il mercato. Infatti a luglio 2022, circa 1 domanda di mutuo su 3 era per un variabile con cap, percentuale notevole se si considera che fino a pochi mesi fa 9 aspiranti mutuatari su 10 puntavano al fisso. Oggi invece, riferisce l’analisi realizzata dai due comparatori, nel mese di luglio sono calati al 24% del totale richieste, mentre la quota di quelli a tasso variabile si è attestata intorno al 42%.

Cosa sono i mutui variabili con cup

A spegnare di cosa si tratti è Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it: “Oggi le opzioni a disposizione dei consumatori sono più numerose rispetto al passato; oltre al tasso fisso e variabile si stanno diffondendo rapidamente soluzioni ibride come, ad esempio, i mutui variabili con cap, che prevedono un’oscillazione degli interessi ma con un tetto massimo per la rata mensile. Si tratta di prodotti più complessi e meno conosciuti rispetto a quelli tradizionali e per questo il consiglio è di affidarsi a consulenti esperti che sappiano guidare il richiedente nella scelta della soluzione più adatta”. In questo momento più che mai, infatti, è importante scegliere il mutuo più conveniente, dato che sul fronte dell’andamento dei tassi i primi sette mesi del 2022 sono stati caratterizzati da un aumento del costo dei finanziamenti per la casa.

Identikit dell’aspirante mutuatario

Cambia l’identikit di chi ha presentato domanda di mutuo: nei primi sette mesi del 2022 l’età media dei richiedenti è scesa a poco meno di 38 anni, valore in netto calo rispetto ai 43 anni rilevati nel 2021. L’importo medio richiesto è aumentato del 2,1% su base annua, stabilizzandosi a 140.634 euro, mentre la durata media dei piani di ammortamento è salita a 25 anni (era 23 nel 2021). In calo, infine, il valore medio degli immobili oggetto di mutuo, sceso a circa 195.000 euro (-6% su base annua).
Da gennaio a luglio è stato registrato un aumento dei mutui per l’acquisto della prima casa, che rappresentano circa il 78% delle domande di finanziamento raccolte online; causa aumento tassi, invece, sono crollate le domande di surroga, scese a meno del 10% del totale.

Cresce l’uso di applicazioni cloud all’interno delle aziende: ma i dati potrebbero essere a rischio

Più di 1 utente su 5 (22%) carica, crea, condivide o archivia dati in applicazioni e istanze personali: Gmail, WhatsApp, Google Drive, Facebook, WeTransfer e LinkedIn sono classificate come le applicazioni e le istanze personali più utilizzate. Lo rivela il nuovo report “Netskope Cloud and Threat Report: Cloud Data Sprawl”, condotto da Netskope, che segnala che l’uso di applicazioni cloud all’interno delle organizzazioni continua a crescere: dall’inizio del 2022 è già aumentato del 35%. Un’azienda media tra i 500 e i 2.000 utenti carica, crea, condivide o archivia dati in 138 applicazioni diverse e utilizza una media di 1.558 applicazioni cloud distinte ogni mese. Ma l’uso di queste applicazioni produce una proliferazione dei dati che crea rischi per le organizzazioni in tutto il mondo.

I rischi per le aziende

Il report evidenzia inoltre una continua tendenza al rischio che proviene dall’interno dell’azienda (insider risk): il report ha rivelato che 1 utente su 5 (20%) carica una quantità insolitamente elevata di dati nelle applicazioni personali (come Gmail, WhatsApp, Google Drive, Facebook, WeTransfer e LinkedIn) nei 30 giorni che precedono la fuoriuscita da un’organizzazione, dato che segna un aumento del 33% per lo stesso periodo rispetto all’anno scorso.
“Le applicazioni cloud hanno contribuito ad aumentare la produttività e a consentire il lavoro ibrido, ma hanno anche causato una crescente proliferazione di dati che mette a rischio informazioni sensibili”, ha affermato Ray Canzanese, Threat Research Director, Netskope Threat Labs. “Le applicazioni e le istanze personali sono particolarmente preoccupanti, dal momento che gli utenti mantengono l’accesso ai dati archiviati in quelle istanze anche molto tempo dopo aver lasciato l’organizzazione. Le misure di sicurezza proattive, in particolare i controlli delle policy che limitano l’accesso ai dati sensibili solo agli utenti e ai dispositivi autorizzati e impediscono il caricamento di dati sensibili su applicazioni e istanze personali, possono aiutare a ridurre i rischi di perdita o esposizione di dati sensibili”.

Le applicazioni più utilizzate

Sempre più utenti stanno caricando, creando, condividendo o archiviando dati in applicazioni cloud: la percentuale di utenti con attività di dati nelle applicazioni cloud è aumentata dal 65% al 79% nei primi cinque mesi del 2022. Le categorie di applicazioni cloud più utilizzate all’interno delle organizzazioni sono quelle di Cloud Storage, Collaboration e Webmail.
Le organizzazioni utilizzano molte applicazioni con funzionalità che si sovrappongono: delle 138 applicazioni usate da un’organizzazione con 500–2.000 utenti per caricare, creare, condividere o archiviare dati, si contano in media 4 applicazioni Webmail, 7 applicazioni di archiviazione cloud e 17 applicazioni di collaborazione. Questa sovrapposizione può portare a problemi di sicurezza, come configurazioni errate, perdita di efficacia delle policy, e policy di accesso incoerenti.

Assicurazione auto: gli italiani puntano al risparmio

Le conseguenze del rialzo generalizzato dei prezzi si possono toccare con mano anche nella cosiddetta ‘economia reale’: la difficoltà a risparmiare è sempre più crescente per molti italiani. La difficile congiuntura economica, il rialzo dell’inflazione e i pesanti rincari sull’energia stanno infatti mettendo a dura prova la capacità di spesa delle famiglie. Ma se per contenere la spesa mensile generale molti tendono a tagliare beni e servizi considerati superflui, esistono alcuni costi fissi con cui è necessario continuare a confrontarsi. È il caso dell’assicurazione auto, in Italia obbligatoria per tutti coloro che possiedono un mezzo a motore, anche se non usato regolarmente. Per cercare di ridurre l’entità di questa spesa, gli automobilisti si stanno quindi rivolgendo alla rete per individuare le polizze caratterizzate dal miglior rapporto qualità-prezzo.

Come risparmiare grazie al web

Il web offre un grande aiuto nella gestione delle spese, soprattutto grazie alle possibilità offerte dai portali di comparazione. Un esempio è 6sicuro, realtà di riferimento nel settore attiva dal 2000, che propone un servizio a 360 gradi, affidabile e gratuito. Più in dettaglio, ogni assicurazione auto su 6sicuro viene selezionata guardando esclusivamente alle proposte più interessanti formulate dalle principali compagnie del settore. Il tutto con la possibilità di poter stipulare direttamente la polizza online. E questo si traduce in un risparmio ulteriore sui costi, poiché evita di dover passare per un intermediario ‘fisico’.

Le coperture accessorie più richieste

In Italia vige l’obbligo di assicurare il proprio mezzo a motore: tale stipula copre l’intestatario contro i danni derivati in caso di sinistro, tuttavia esistono anche altre garanzie, chiamate coperture accessorie, che possono essere molto utili, e in alcuni casi, anche fortemente raccomandate. È il caso della polizza contro furto e incendio, che tutela il contraente in forma diversa a seconda della tipologia di contratto che si decide di attivare. L’utente, ad esempio, può scegliere di sottoscrivere una copertura solo parziale, per cui la compagnia assicurativa risarcisce solo per un determinato importo. Il costo, ovvero il cosiddetto premio assicurativo, dipende da molte variabili, fra cui spicca il valore vero e proprio dell’auto.

La Kasko

Un’altra copertura accessoria molto richiesta è senza dubbio la Kasko, che tutela l’intestatario anche qualora sia responsabile dei danni provocati. Essa, inoltre, copre tutti gli incidenti che possono riguardare il veicolo, nonché i danneggiamenti accidentali.
Si può anche decidere di assicurare solo alcune parti dell’auto, magari quelle più fragili e più esposte agli incidenti. È il caso della polizza cristalli, che assicura i vetri della macchina qualora siano soggetti a un incidente o a un danneggiamento accidentale, come ad esempio la caduta fortuita di un oggetto.
Molti utenti, poi, in particolare quelli che fanno largo uso della vettura o che per lavoro devono guidare per molte ore, scelgono di sottoscrivere l’assicurazione che prevede l’assistenza in caso di guasto. In questo caso, il sottoscrittore potrà richiedere l’intervento di un carro attrezzi che recuperi l’auto rotta senza costi aggiuntivi.

Come riconoscere i Deepfake?

I Deepfake sono registrazioni vocali, video, foto o ‘false’ realizzate con reti neurali profonde. L’uso del deep learning, al posto delle tradizionali tecniche di editing delle immagini, riduce drasticamente lo sforzo e l’abilità necessari per creare un falso convincente. Secondo alcune stime, il 96% di tutti i Deepfake è pornografico. Da qui, le preoccupazioni legate al loro uso per abusi, estorsioni e casi di pubblica umiliazione.
“I Deepfake sono un esempio lampante di come una tecnologia si sviluppi più velocemente del tempo necessario a comprenderla e a imparare a gestirne i rischi – spiega Vladislav Tushkanov, lead data scientist di Kaspersky -. Per questo motivo viene percepita sia come uno strumento in più a beneficio degli artisti, sia come nuovo strumento di disinformazione, che mette in discussione diversi aspetti della nostra vita quotidiana”.

Il regolamento UE sull’AI potrebbe includere una clausola su questa tecnologia

Google ha bandito gli algoritmi di Deepfake da Google Colaboratory, il servizio di calcolo gratuito con accesso alle GPU. E se diversi stati americani hanno leggi che li regolamentano un progetto di legge cinese richiede l’identificazione dei dati generati al computer. Inoltre, il futuro regolamento UE sull’AI potrebbe includere una clausola su questa tecnologia. Questa tecnologia potrebbe infatti aiutare i criminali informatici. Gli algoritmi commerciali di rilevamento della vivacità, utilizzati dalle istituzioni finanziarie nelle procedure KYC, potrebbero essere ingannati da Deepfake creati a partire da fototessere, creando nuovi vettori di attacco e rendendo i documenti d’identità trapelati un problema ancora più grave.

Un’ulteriore proliferazione della disinformazione su Internet

Di fatto i Deepfake minano la fiducia degli utenti rispetto ai contenuti audio e video, in quanto potrebbero essere utilizzati per scopi malevoli. E diversi esperti e istituzioni, come Europol, avvertono che la crescente disponibilità di Deepfake può portare a un’ulteriore proliferazione della disinformazione su Internet. Ovviamente non esistono solo aspetti negativi. La CGI (computer-generated imagery) esiste da decenni, e viene utilizzata in diverse occasioni. Ad esempio, un algoritmo Deepfake è stato utilizzato anche per creare una serie virale su TikTok con protagonista un finto Tom Cruise. E alcune startup stanno cercando nuovi modi per utilizzarne la tecnologia, ad esempio, per generare avatar realistici nel metaverso.

Quelli utilizzati per le truffe tendono a essere di bassa qualità

I Deepfake potrebbero quindi essere difficili da riconoscere. Quelli utilizzati per le truffe tendono ancora a essere di bassa qualità, e possono essere individuati notando movimenti innaturali delle labbra, capelli non propriamente realistici, forme del viso non corrispondenti e così via. Anche gli errori nella resa dei vestiti possono rivelare un Deepfake amatoriale. Nel caso in cui un personaggio famoso faccia affermazioni azzardate o offerte troppo belle per essere vere, anche se il video risultasse convincente, meglio fare un controllo incrociato delle informazioni, consultando fonti attendibili. Ma i truffatori possono intenzionalmente codificare i video per nascondere i difetti dei Deepfake creati, per cui osservare il video alla ricerca di indizi potrebbe non essere la strategia migliore.

La Gen Z e il denaro: quali opportunità per il mondo finanziario?

Si parla molto di Generazione Z, e più si analizzano i risultati delle ricerche sui nati tra il 1995 e il 2010 più i ‘miti’ su questa generazione appaiono per quel che sono: miti, appunto. Eumetra ha analizzato il rapporto della Gen Z con il mondo finanziario in uno studio condotto in 5 Paesi, Italia, UK, Francia, Germania, Spagna. E ha scoperto forti differenze sia all’interno della Gen Z stessa sia tra Paese e Paese. Nel rapporto con la scolarizzazione e il lavoro, ad esempio, italiani e spagnoli studiano a lungo e ottengono titoli di studio mediamente più alti, ma il loro accesso al lavoro full time è risibile: 11% per gli italiani contro 31% in UK, 35% in Germania e 28% in Francia. Anche l’accesso al reddito è diverso: solo il 4% degli italiani e il 6% degli spagnoli dichiara di accedere a più di 1.500 euro al mese, a fronte del 28% in UK e 20% in Germania.

Non bamboccioni, ma differenti forme di indipendenza economica

Insomma, non bamboccioni ma con differenti forme di indipendenza economica. Ma come possono collocarsi le banche in tale contesto? Ci sono elementi di opportunità e fattori di rischio. Tra le opportunità, i giovanissimi tendono a risparmiare perché hanno, o dichiarano di avere, una progettualità di vita. Quanto ai rischi, i giovanissimi dichiarano di non conoscere particolarmente bene il settore bancario. La ‘consapevole ignoranza’ implica un ruolo di maggior rilevanza della cerchia di influenzatori (famiglia, amici…), che risultano più ‘influenti’ in Italia, Spagna e Francia, dove meno del 30% dichiara di essere autonomo nell’acquisto di prodotti finanziari. Al contrario, tedeschi e inglesi mostrano maggiore indipendenza.

I giovani ‘iperdigitalizzati’ usano ancora il contante

I giovani italiani ‘iperdigitalizzati’ però usano ancora il contante (1 su 2) e la carta di credito (43%) seguita da PayPal (42%). Le app come Apple Pay o Samsung Pay convincono solo un giovane su 5. Di fatto, gli acquisti finanziari sono influenzati dai genitori. Inoltre, i giovanissimi italiani ammettono di conoscere poco i brand, e 4 su 10 dichiarano di essere a conoscenza di 3 big player come Unicredit, Intesa Sanpaolo e Poste. Tra i brand su cui i giovani dichiarano meno ignoranza fanno capolino sia banche con una spiccata immagine ‘conversazionale’, come BPER e Banco Mediolanum, sia player come Satispay.

Come farsi conoscere dai giovanissimi

Quindi, come farsi conoscere dai giovanissimi? Il passaparola, fisico e digitale, di genitori e amici è la prima fonte di informazione. La conoscenza del sistema di influenza è quindi centrale per intercettarli. I mezzi da cui attendono comunicazione sono prevalentemente online, ma non necessariamente social, che piacciono ma non discriminano per categoria merceologica. Quanto ai contenuti di comunicazione attesi invece devono mostrare il vantaggio economico e mostrare quali risultati si possono ottenere. In altre parole, non dimentichiamo che sono una generazione pragmatica e razionale, più di quanto agli adulti, più emotivi e impulsivi, piace ammettere.

Assunzioni, le aziende devono curare annunci e candidature

Le candidature sono la chiave di volta affinché le aziende possano trovare le persone giuste per le posizioni aperte e richieste. W per centrare l’obiettivo, è fondamentale che tutto il meccanismo della selezione del personale sia perfettamente oliato. Uno studio effettuato alcuni anni fa da Lever, una società che realizza e gestisce un software per la ricerca e la selezione del personale, ha dimostrato che in media un’impresa con meno di 200 dipendenti deve analizzare 86 candidature prima di trovare il candidato adatto all’assunzione.

Più è grande l’azienda, più è difficile la ricerca

il dato è ancora più alto nel caso di aziende più grandi (con oltre 200 dipendenti),  che in media devono passare in rassegna 100 persone prima di trovare il candidato giusto. Bisogna poi sottolineare il fatto che solitamente viene contattato per un colloquio solamente il 17% dei candidati, ma anche che il 31% delle persone che ricevono un’offerta di lavoro finisce per rifiutarla (le percentuali sono particolarmente alte nel caso di ingegneri e manager). Insomma, il lavoro di ricerca e di selezione del personale è mediamente lungo, gravoso e irto di ostacoli. Le aziende, nel momento in cui desiderano inserire un nuovo talento, devono quindi prepararsi mentalmente e non solo a dover analizzare molte persone per un’unica offerta di lavoro, senza meravigliarsi troppo di dover interagire con tantissimi candidati prima di considerare chiusa la ricerca.

Le strade possibili

Naturalmente tale ricerca non deve essere necessariamente così. Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting, spiega che le cose possono andare diversamente. “È fondamentale prima di tutto organizzare al meglio la ricerca, a partire dalla realizzazione di un annuncio di lavoro particolarmente dettagliato, che vada quindi a richiamare l’attenzione delle sole persone che realmente possono ricoprire quel ruolo. Un dettaglio omesso in un annuncio può trasformarsi in una valanga di curricula non desiderati”. Ma c’è di più. I processi di ricerca e selezione del personale efficaci partono molto prima dell’effettivo bisogno di una risorsa “Un’azienda che può vantare un buon employer brand, e che quindi negli anni ha costruito e sviluppato una buona strategia per risaltare le proprie qualità come datore di lavoro” spiega l’head hunter “avrà meno difficoltà nel trovare il talento perfetto da assumere”. Tra l’altro, non sempre il candidato ideale è alla ricerca di una nuovo lavoro. Precisa Adami: “Molto spesso la persona che si cerca rientra nell’enorme gruppo dei candidati passivi, ovvero tra le persone che non stanno cercando attivamente un lavoro. Anche per questo motivo affidarsi a una società di head hunting permette di aumentare le probabilità di trovare la figura perfetta da inserire nel team”. 

Pollo e burro gli alimenti più rincarati

L’indagine condotta da Unioncamere, con la collaborazione di BMTI e REF Ricerche, nel bimestre aprile-maggio prospetta una ulteriore intensificazione dell’inflazione. Si attendono quindi aumenti del +3,5% per la media di 46 prodotti alimentari rispetto al bimestre precedente, e una crescita su base annua che potrebbe arrampicarsi fino al +12,7%. Le rilevazioni sui prezzi pagati all’industria alimentare dalle Centrali di Acquisto della Gdo per la media dei 46 prodotti alimentari maggiormente consumati, mostrano un aumento del +2,1% nel mese di marzo, con una crescita che si porta al +10,9% rispetto a marzo 2021. E tra i prodotti che a marzo hanno registrato variazioni rispetto al mese precedente spicca l’aumento del pollo fresco (+4,3%), a causa di un’offerta ridimensionata per l’influenza aviaria e per l’aumento dei costi dei mangimi. E quello del burro (+3,8%), segnato dalla riduzione delle disponibilità a livello continentale.

Aumenti anche nei prodotti cerealicoli e derivati

Diffusi ed elevati aumenti anche nei prodotti cerealicoli e derivati (pasta di semola +3,7%, riso +3,7%, biscotti +3,6%, pane +3,4%), per effetto dei rincari delle materie prime, come grano duro e grano tenero, e dell’energia, già in atto nel 2021. L’inflazione per il mese di marzo, secondo i dati di preconsuntivo forniti dalle Centrali di Acquisto, subisce una vistosa accelerazione al +10,9%, con i rincari maggiori per la carne di pollo (+34,8%), e l’olio di semi vari (+30,5%), complice la carenza di approvvigionamenti di olio di girasole dal Mar Nero: Russia e Ucraina sono infatti due maggiori produttori di olio di girasole al mondo. Ma anche per la pasta di semola (+22,5%).

Ad aprile e maggio aumenti stimati in media del +3,5

Le indicazioni fornite dalle Centrali di Acquisto della GDO, riporta Agi, preconizzano significativi aumenti anche per il bimestre aprile-maggio: in media per i 46 prodotti alimentari monitorati l’aumento si attesta al +3,5%, trainato soprattutto dai prodotti derivati dei cereali, e in particolar modo dalla pasta di semola (+6,6%) e dal pane (+6,5%). Ma sono attesi aumenti significativi anche per il burro (+5,6%).

La previsione per il 2022 ora è al +6,1%

La filiera risicola nazionale è segnata negli ultimi mesi da un’offerta disponibile inferiore alla domanda delle riserie, da timori legati all’impatto sulle prossime semine delle condizioni siccitose registrate in Nord Italia, e dagli elevati costi di produzione, a cominciare da energia e fertilizzanti.
Le anticipazioni raccolte sui prezzi pagati all’industria alimentare dalle Centrali d’Acquisto suggeriscono una ulteriore accelerazione dell’inflazione alimentare al consumo nei mesi estivi, verso valori superiori al 7%. Per la media dell’anno 2022 la previsione è al +6,1%.

Consumatori italiani, più attenti al benessere ma preoccupati per l’inflazione

Qual è il sentiment dei consumatori italiani adesso che l’emergenza sanitaria è sempre meno stringente? Quali sono i comportamenti dei nostri connazionali verso una vita, a tutti i livelli, che sta tornando a una piena normalità? A questa e ad altre domande risponde il Consumer Tracker di Deloitte, che fotografa il pensiero degli italiani dopo due anni di pandemia. Il 45% dei consumatori ha dichiarato di essere alla ricerca di un cambiamento personale e il 41% vuole dare priorità al proprio benessere. Mentre i consumi fuori casa cominciano a risalire, il 75% è preoccupato per l’aumento dei prezzi.

Molto è cambiato

“In due anni di pandemia le priorità e le abitudini dei consumatori italiani sono molto cambiate: benessere personale, sostenibilità ambientale e ricerca di una nuova quotidianità improntata al work-life balance sono sempre più importanti per gli italiani. La diffusione del lavoro da remoto, invece, ha spostato molte attività di consumo in casa e ha creato nuove abitudini che potrebbero rimanere anche dopo la pandemia. Sullo sfondo, molto significativa la preoccupazione per i prezzi in crescita: mentre gli italiani stanno progressivamente tornando alla socialità pre-Covid, la paura dell’inflazione riguarda ben 3 italiani su quattro. Per le aziende che operano in ambito consumer è importante comprendere e intercettare questi cambiamenti per potere essere proattive nell’implementare soluzioni che rispondano ai nuovi bisogni dei consumatori”. Lo afferma Andrea Laurenza, Consumer Industry Leader di Deloitte, nel commentare gli ultimi dati del rapporto, rilevati a febbraio 2022. Con un monitoraggio permanente sulle principali abitudini dei consumatori, il Consumer Tracker di Deloitte indaga le abitudini di consumo di più di 20.000 consumatori in 23 paesi nel mondo.

Obiettivo benessere 

Quando è stato chiesto agli italiani di riflettere sull’ultimo anno, la stragrande maggioranza ha dichiarato di sentirsi molto più concentrata sui cambiamenti in atto nella sfera personale. Secondo i dati del Consumer Tracker, infatti, il 45% degli intervistati ha dichiarato di essere alla ricerca di un cambiamento personale, dando priorità al proprio benessere (41%). In linea con questo nuovo atteggiamento, il 45% degli italiani dichiara che negli ultimi 12 mesi ha preferito ridurre gli oggetti e beni materiali in proprio possesso. Inoltre, per il 33% è molto importante trovare più tempo per vivere il presente, a fronte di meno ore di lavoro straordinario. Un cambiamento che attraversa tutte le fasce di reddito, ma che è concentrato soprattutto tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni.

La centralità della casa

In base ai dati raccolti, si scopre che gli italiani lavorano da casa mediamente 2,4 giorni a settimana, un valore al di sotto della media globale. Tuttavia, già oggi circa il 55% degli intervistati del nostro Paese dichiara di poter lavorare dalla propria abitazione e, potendo scegliere, preferirebbe poter restare lontano dagli uffici per buona parte della settimana (in media fino a 3,4 giorni). Così, la nuova centralità della casa ha un impatto significativo da una parte sulle bollette e spese per la casa di vario genere, dall’altro sul giro di affari di bar e ristoranti. Nelle prossime quattro settimane, infatti, l’80% degli italiani pianifica di spendere per affitto, mutuo e bollette tra i 100 e i 750 euro, mentre l’86% spenderà fino a 225€ per internet e servizi di streaming. Il 70% invece è intenzionato a spendere per cenare in ristoranti o ordinare cibo da asporto, ma con una spesa massima di 100 euro. 

Giornata della Terra 2022: italiani preoccupati per i cambiamenti climatici

Il 22 aprile, in occasione della Giornata della Terra, la più grande manifestazione ambientale a livello mondiale, Ipsos ha condotto un sondaggio internazionale con l’obiettivo di indagare le opinioni relative al problema del cambiamento climatico e i comportamenti sostenibili da adottare nel prossimo anno. E secondo il sondaggio, in Italia la preoccupazione per il cambiamento climatico è avvertita dal 69% degli intervistati, mentre il 79% è preoccupato per le sue conseguenze. L’opinione pubblica mondiale ritiene però che la lotta al cambiamento climatico rappresenti una responsabilità condivisa tra Governo, aziende e cittadini, ma soltanto il 41% ritiene che il Governo abbia un piano chiaro su come lavorare congiuntamente.

Serve un’azione condivisa tra Governi, aziende e singoli individui

In Italia il 68% ritiene che se il Governo non affronterà ora il cambiamento climatico fallirà nei confronti dei propri cittadini. Al contempo, si registra un grado di accordo a livello globale (66%) sulla necessità di un’azione aziendale per combattere il cambiamento climatico. Alcuni settori economici sono percepiti come maggiormente responsabili in relazione al cambiamento climatico. In Italia il 78% menziona le compagnie energetiche, il 74% le case automobilistiche, e il 72% fornitori di trasporto pubblico e le aziende tecnologiche. Il 71% degli italiani ritiene però che anche i singoli individui abbiano la responsabilità nella lotta al cambiamento climatico per non fallire nei confronti delle generazioni future.

I comportamenti sostenibili: meno packaging e risparmiare acqua ed energia

Ma quali comportamenti sono propensi ad adottare gli italiani per la lotta al cambiamento climatico? Il 65% dichiara di voler evitare i prodotti con molti imballaggi, il 61% prevede di risparmiare energia in casa e il 58% di risparmiare acqua ed evitare l’acquisto di nuovi prodotti. In generale, però, l’indagine registra un’errata percezione in merito ai comportamenti sostenibili individuali con maggiore impatto sull’ambiente. Minor packaging o riduzione degli acquisti sono erroneamente visti come priorità, mentre sostituire i voli con opzioni più sostenibili o passare a una dieta vegana, che in realtà hanno un impatto molto più elevato, dalla maggioranza non sono considerati come azioni dalle elevate conseguenze negative sull’ambiente.

Cosa sanno gli italiani della COP26?

La COP26 è la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, e ha l’obiettivo di raggiungere un accordo sulle strategie sostenibili da adottare per contrastarne gli effetti da qui al 2030, e fino al 2050. Ma cosa sanno gli italiani della COP26? Il 34% dichiara di averne sentito parlare e il 29% di non averne mai sentito parlare. Tra i primi, il 53% è anche a conoscenza degli impegni presi dai diversi Paesi, ma mentre il 51% si sente ottimista sull’impatto della COP26, il 41% pensa che non farà alcuna differenza e l’8% che avrà un impatto negativo. I livelli di pessimismo sembrano riflettere i dubbi sulla capacità del Governo di affrontare la crisi climatica. Per il 32% il Governo non farà progressi significativi nella lotta al cambiamento climatico durante i prossimi 10 anni, e il 21% sostiene che il Governo non abbia un piano chiaro nemmeno per affrontare il problema nel 2022.